Intervista a Luca Iaboli, medico e Luana Caselli, divulgatrice scientifica, autori di Doctor G.
Doctor-G è un’opera per molti versi unica nel panorama scientifico/sanitario italiano attuale. Come vi è venuta l’idea che ha portato alla sua realizzazione? Perchè è stato scelto il mezzo fumetto (ora chiamato, con un certo senso di inferiorità nei confronti dell’inglese) graphic novel?
Senza complessi di inferiorità chiamiamolo fumetto. L’idea è nata per caso, quando una sera d’inverno di molti anni fa si sono trovati uno di fianco all’altro un testo molto tecnico e complesso e un fumetto della Bonelli. Ci siamo chiesti quasi per gioco se sarebbe stato possibile rappresentare quella complessità con l’immediatezza del fumetto. Ma il gioco iniziale si è trasformato in un obbiettivo da raggiungere quando abbiamo capito che il fumetto è uno strumento di sensibilizzazione scientifica molto potente. Dal nostro punto di vista è una via dimezzo tra il cinema e la letteratura che ha tutte le caratteristiche di immediatezza, semplicità e chiarezza che servono sia per raggiungere un pubblico eterogeneo in termini di età e cultura, abbassando le difese verso i contenuti considerati “difficili”, sia per fornire una nuova prospettiva sull’argomento anche ad un pubblico preparato. Infatti, rispetto ai materiali informativi più comunemente utilizzati, quali libri e articoli scientifici il fumetto offre uno stile sintetico in grado di catturare l’interesse e l’immaginazione delle persone. Inoltre, il fumetto facilita l’apprendimento perché le informazioni sono supportate da una combinazione di testo e immagini e riferite a un contesto sociale condiviso.

Immagino che sia stato un parto lungo e travagliato, come quelli che spesso stanno all’origine di opere importanti. Descrivici i passaggi peculiari e gli ostacoli che avete incontrato lungo questo cammino che – se non sbaglio – è durato 4 anni.
Da tempo ci occupavamo di divulgazione scientifica ma eravamo assolutamente digiuni di fumetto. La prima fatica è stata quella di trovare i collaboratori giusti per iniziare questa impresa, due professionisti riconosciuti del settore che potevano trasformare le nostre idee in tavole di china. Dopo vari tentativi abbiamo conosciuto Marco Madoglio, lo sceneggiatore, e Grazia Lobaccaro, la disegnatrice e l’avventura è iniziata.
Siamo partiti da storie brevi autoconclusive. La prima storia pilota è ambientata a Londra e racconta dell’allarme pillola anticoncezionale del 1995, un episodio realmente accaduto che abbiamo utilizzato per spiegare la differenza tra “rischio relativo e rischio assoluto”. Nel realizzarla, ci siamo resi conto che scienza e fumetti andavano d’accordo e quindi abbiamo creato altre quattro storie. Le abbiamo poi fatte leggere ad amici che ci hanno dato riscontri positivi, e successivamente ne abbiamo testato la comprensione in modo sistematico attraverso un questionario. Contenti del risultato, abbiamo pensato di inglobarle e collegarle tra loro in una storia unica, una graphic novel vera e propria. In questo modo il volume si può leggere in due modi: o tutto d’un fiato oppure a piccole dosi leggendo gli episodi dell’indice indipendentemente dalla storia in base al tema che più interessa. Così è nato “Doctor G”, un romanzo a fumetti che appassiona il lettore attraverso una trama poliziesca, e nel contempo illustra i principali concetti di statistica applicati alla nostra salute e al campo dei processi giudiziari. L’obiettivo del nostro progetto è molteplice: da un lato supportare i professionisti nel capire e trasmettere i rischi e benefici di un test o di una cura, dall’altro sviluppare nelle persone un maggiore senso critico che le porti a porre le domande giuste per prendere decisioni informate in materia di salute.
Per uno che non è del ramo, Doctor-G dipinge un panorama piuttosto sconfortante del mondo sanitario, terreno di contesa tra gruppi con in mano un grande potere economico, professionisti facilmente influenzabili e pochi uomini di buona volontà. Questi ultimi sono gli unici ad impegnarsi per trovare un modo di lavorare che sia rispettoso del diritto delle persone ad avere il miglior trattamento sanitario possibile, senza cedere al senso comune “anche se non siamo sicuri che serva a qualcosa, proviamolo”. Cosa si fa al giorno d’oggi in Italia per poter favorire una scelta consapevole e ponderata del medico in campo terapeutico?
L’industria dei farmaci e degli strumenti medicali investe somme enormi per plasmare la pratica medica. Ad esempio secondo Richard Smith, ex direttore del BMJ, le riviste scientifiche mediche sono un’estensione del Marketing delle Aziende Farmaceutiche; quasi il 75% degli studi clinici pubblicati sulle riviste sono finanziati dall’Industria, che, in vari modi, ottiene da questi risultati ciò che vuole; la maggior parte degli esperti che modificano le linee guida hanno conflitti di interessi con le industrie. La situazione è decisamente sconfortante, ma per risolvere il problema si
potrebbero mettere in atto vari interventi. Ad esempio, sarebbe necessario dedicare fondi pubblici per eseguire studi indipendenti che confrontano i trattamenti disponibili, così come sarebbe necessario che tutti gli studi scientifici venissero registrati e che tutti i risultati fossero accessibili. Inoltre, le riviste dovrebbero essere più critiche verso gli studi scientifici che pubblicano e gli operatori sanitari dovrebbero sempre ricordare che “Chi paga il flauto decide la musica”.
Riguardo le informazioni sui farmaci se ne trovano anche troppe, ma sono realmente poche le fonti indipendenti. Tra queste spiccano Therapeutics Letter in Canada, Prescrire in Francia e la Cochrane library. In Italia le fonti indipendenti sono Infofarma, una rivista online che continua dopo la chiusura di Dialogo sui Farmaci, Ricerca & Pratica del Mario Negri, Informazione sui Farmaci delle Farmacie Comunali Riunite di Reggio Emilia e Quaderni ACP, dell’Associazione Culturale Pediatri. Per chi volesse approfondire tematiche relative ad indipendenza e trasparenza in ambito sanitario consiglio di visitare il sito http://www.nograzie.eu , formato da un gruppo di operatori che producono e diffondono informazioni sul tema del conflitto di interessi.
Il lavoro del medico è ancora oggi uno dei più ambiti, come dimostrano i 60000 iscritti all’esame di ammissione alla facoltà di medicina di quest’anno. Probabilmente perché, nella modificazione in corso del mondo del lavoro, con molte professioni che cambiano o spariscono del tutto, rappresenta un baluardo che corrisponde anche in buona parte all’idea archetipica del guaritore e terapeuta con forte riconoscimento sociale, quale è stato per secoli. E’ ancora davvero così?
In parte è come dici tu e la pratica medica offre un lavoro certo oltre al riconoscimento sociale, ma credo che in questi anni il medico si sia allontanato molto dall’archetipo del guaritore. Per spiegarmi meglio devo partire da molto lontano: nel 400 AC Ippocrate conduceva l’accademia medica di Cos, documentava gli incontri con i pazienti, insegnava agli studenti l’Arte della medicina e scriveva Il Corpus Hippocratico, non sapendo che stava stabilendo la teoria della medicina Occidentale per i futuri millennenni.
Ma per gli standard odierni Ippocrate era un medico decisamente anomalo: il padre della medicina assaggiava di routine le urine dei pazienti, così come il pus e il cerume, annusava e scrutinava le loro feci, valutava la vischiosità del sudore ed esaminava il sangue, il muco/catarro e il vomito… e non solo: conosceva da vicino la loro casa, la famiglia e studiava l’espressione del volto… nel decidere una diagnosi e un trattamento, registrava e considerava la dieta, la stagione, la prevalenza locale dei venti e la fornitura idrica del domicilio del paziente, la direzione della facciata della casa… Assorbiva tutto e tutto.
Ma sentendo la descrizione del metodo diagnostico ippocratico il medico moderno spesso fa una smorfia o scuote la testa e di fatto, mentre il medico di oggi esercita un giuramento adattato dagli scritti di Ippocrate, Ippocrate non riconoscerebbe la nostra interpretazione dell’Arte medica. Infatti Ippocrate era un medico olistico, intento a trattare la persona nella sua completezza, mentre oggi la tendenza è quella di iperspecializzarsi in campi sempre più ristretti della conoscenza anatomica e fisiologica. Ippocrate era un devoto empiricista, mentre la maggior parte dei nostri colleghi passa così poco tempo con ogni paziente che è assurdo affermare strumenti di osservazione seri. Ippocrate era un consumato comunicatore, mentre i medici di oggi sono spaventati dalla comunicazione. Ippocrate sentiva e dimostrava empatia, mentre noi abbiamo scelto un modello di interazione medico-paziente più freddo. Diciamo che se Ippocrate è il padre della medicina che pratichiamo, allora noi siamo i suo confusi, ribelli, egocentrici figli adolescenti.
Quello che voglio dire è che la medicina ha perso molto e credo che le persone (i pazienti) preferirebbero avere Ippocrate come loro medico. E’ come se da qualche parte nel nostro viaggio di 2400 anni dall’isola di Cos sino ai moderni centri in cui si pratica una medicina tecnicamente avanzata, gli interessi dei medici e dei pazienti avessero preso due strade separate. Compito della medicina è di riavvicinare medici e pazienti che oggi si trovano ad anni luce di distanza.

Il tema dell’antibioticoresistenza è sul tavolo dell’OMS e rappresenta la principale causa di morte all’interno degli ospedali. Al di là di quello che ognuno di noi (sia medico che paziente) può fare per prevenirlo, quali sono le cause strutturali che hanno portato a questa grossa crisi sanitaria?
Al di là dell’uso umano degli antibiotici, ottimizzabile con l’appropiatezza della prescrizione, credo che un problema sottovalutato sia quello dell’utilizzo negli animali che assumono antibiotici per ragioni non terapeutiche. Negli allevamenti intensivi ricevono mangime addizionato con farmaci ad ogni pasto, e ciò è praticamente indispensabile nell’industria avicola. Secondo la Union of Concerned Scientists sono ben undicimila le tonnellate di antibiotici somministrate a polli, maiali e altri animali d’allevamento, solo considerando l’uso non terapeutico. Studio dopo studio è stato dimostrato che la resistenza agli antimicrobici è cresciuta di 8 volte tra il 1992 e il 1997. Così come per l’uomo, l’uso di antibiotici seleziona batteri, tra cui patogeni sia animali che umani come Salmonella e Campylobacter, che possono poi essere trasferiti all’uomo. E’ significativo notare che in Europa, limitando per legge l’uso di antibiotici per uso umano negli allevamenti intensivi, la resistenza agli antibiotici sembra diminuire. Come migliorare questa situazione? Cominciando da noi stessi e riducendo il consumo di carne.
Rispondi